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Raccontarsi

Raccontarsi

I soggetti coinvolti

Progetto a cura di Marina Allegri e Donatella Saviola, promosso dal Centro Cardinal Ferrari – Kos Group e da Solares Fondazione delle Arti, col sostegno della Fondazione Cariparma

Contesto e promotori

Nel 2024, il Centro Cardinal Ferrari – Kos Group, riconosciuto a livello nazionale come centro d’eccellenza nella cura e riabilitazione di gravi cerebrolesioni acquisite e disturbi neurologici complessi, ha promosso, insieme a Solares Fondazione delle Arti, centro di produzione teatrale e di arte contemporanea, e con il sostegno di Fondazione Cariparma, nell’ambito del bando Avere cura di chi cura, il progetto “Raccontarsi. La narrazione e l’ascolto come strumenti di formazione e di cura”.

Kid
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"La ferita può essere re-immaginata, perché il trauma ha un’anima immaginale. Come diceva James Hillman: cura la storia e curerai il paziente." Marina Allegri
I caregiver al centro

L’iniziativa ha messo al centro chi si prende cura: i caregiver familiari, spesso invisibili nel loro ruolo, spesso soli nell’attraversare un dolore che non ha parole. Il progetto nasce da un’esperienza personale e profonda, quella di Marina Allegri, drammaturga e formatrice, che si è trovata improvvisamente nel ruolo di caregiver. Da quella frattura non scelta, da quella sospensione violenta della normalità, è nato un bisogno: trasformare la ferita in racconto, il trauma in conoscenza condivisa. “Diventare caregiver è attraversare una frattura che cambia tutto senza preavviso. Ma nel raccontare – scrive – ho scoperto che la ferita può essere re-immaginata, perché il trauma ha un’anima immaginale. Come diceva James Hillman: cura la storia e curerai il paziente”.


Il percorso formativo

A partire da questa intuizione si è costruito un percorso di incontri con un gruppo eterogeneo di caregiver, condotto da un’équipe interdisciplinare composta da clinici, psicoterapeuti e artisti. In un luogo di cura come il Centro Cardinal Ferrari, dove ogni giorno si affrontano esiti traumatici severi, si è scelto di sperimentare un modello integrato: la narrazione come pratica trasformativa, l’ascolto come gesto terapeutico, la metafora come strumento per dare forma all’inesprimibile.

La narrazione come strumento di trasformazione

La narrazione, nelle sue molteplici forme – parola, gesto, immagine – è diventata veicolo per portare alla luce emozioni difficili da nominare: la rabbia, la stanchezza, la colpa, l’impotenza. La Dott.ssa Donatella Saviola, neurologa, psicoterapeuta e primaria del Centro, ha sottolineato l’importanza di un linguaggio simbolico che possa “accogliere là dove la parola fallisce, creando uno spazio protetto dove anche il silenzio possa avere voce”. In quest’ottica si è ricorso anche alla Sand Play Therapy ideata da Dora Kalff, e alla pratica del Kintsugi, l’antica arte giapponese che mostra con l’oro le fratture di un oggetto, rendendo la ferita parte del suo valore.

Il Drago: una metafora potente

Emblema centrale del percorso è stata la figura del Drago: creatura potente e temuta, metafora del trauma. All’inizio rinchiuso in gabbia, è stato progressivamente liberato e affrontato, in un processo simbolico di riconoscimento dell’ombra. Attraverso il racconto, il Drago non è più nemico da combattere, ma parte di sé da integrare e trasformare.

Momenti pubblici conclusivi

A concludere il percorso, durato circa un anno, due significativi momenti pubblici: la presentazione del progetto, curata da Marina Allegri, nel contesto del XXIV Congresso Nazionale S.I.R.N. (“Nutrire il cervello, curare il pianeta”, Parma, 10–12 aprile), e la mostra fotografica, ospitata presso il Teatro al Parco (PR), firmata da Marco Gualazzini, fotografo di fama internazionale, che ha saputo interpretare la profondità del percorso attraverso immagini di grande forza evocativa. Le fotografie, ispirate ai principi della neuroestetica, attivano memorie profonde e risonanze archetipiche, entrando in dialogo con l’inconscio collettivo teorizzato da Jung. L’intento è quello di rendere visibile l’invisibile: le emozioni, i passaggi intimi, la dignità della vulnerabilità.

Conclusione

“Raccontarsi” ha così dato vita a una comunità autentica, dove chi cura è stato finalmente ascoltato, riconosciuto, sostenuto. Ogni parola, ogni silenzio, ogni gesto ha avuto valore. La narrazione non ha solo aiutato a ricordare, ma a ricostruire: sé stessi, le relazioni, il senso delle proprie azioni.

I soggetti coinvolti

Progetto a cura di Marina Allegri e Donatella Saviola, promosso dal Centro Cardinal Ferrari – Kos Group e da Solares Fondazione delle Arti, col sostegno della Fondazione Cariparma

Contesto e promotori

Nel 2024, il Centro Cardinal Ferrari – Kos Group, riconosciuto a livello nazionale come centro d’eccellenza nella cura e riabilitazione di gravi cerebrolesioni acquisite e disturbi neurologici complessi, ha promosso, insieme a Solares Fondazione delle Arti, centro di produzione teatrale e di arte contemporanea, e con il sostegno di Fondazione Cariparma, nell’ambito del bando Avere cura di chi cura, il progetto “Raccontarsi. La narrazione e l’ascolto come strumenti di formazione e di cura”.

Kid
"La ferita può essere re-immaginata, perché il trauma ha un’anima immaginale. Come diceva James Hillman: cura la storia e curerai il paziente." Marina Allegri
I caregiver al centro

L’iniziativa ha messo al centro chi si prende cura: i caregiver familiari, spesso invisibili nel loro ruolo, spesso soli nell’attraversare un dolore che non ha parole. Il progetto nasce da un’esperienza personale e profonda, quella di Marina Allegri, drammaturga e formatrice, che si è trovata improvvisamente nel ruolo di caregiver. Da quella frattura non scelta, da quella sospensione violenta della normalità, è nato un bisogno: trasformare la ferita in racconto, il trauma in conoscenza condivisa. “Diventare caregiver è attraversare una frattura che cambia tutto senza preavviso. Ma nel raccontare – scrive – ho scoperto che la ferita può essere re-immaginata, perché il trauma ha un’anima immaginale. Come diceva James Hillman: cura la storia e curerai il paziente”.


Il percorso formativo

A partire da questa intuizione si è costruito un percorso di incontri con un gruppo eterogeneo di caregiver, condotto da un’équipe interdisciplinare composta da clinici, psicoterapeuti e artisti. In un luogo di cura come il Centro Cardinal Ferrari, dove ogni giorno si affrontano esiti traumatici severi, si è scelto di sperimentare un modello integrato: la narrazione come pratica trasformativa, l’ascolto come gesto terapeutico, la metafora come strumento per dare forma all’inesprimibile.

La narrazione come strumento di trasformazione

La narrazione, nelle sue molteplici forme – parola, gesto, immagine – è diventata veicolo per portare alla luce emozioni difficili da nominare: la rabbia, la stanchezza, la colpa, l’impotenza. La Dott.ssa Donatella Saviola, neurologa, psicoterapeuta e primaria del Centro, ha sottolineato l’importanza di un linguaggio simbolico che possa “accogliere là dove la parola fallisce, creando uno spazio protetto dove anche il silenzio possa avere voce”. In quest’ottica si è ricorso anche alla Sand Play Therapy ideata da Dora Kalff, e alla pratica del Kintsugi, l’antica arte giapponese che mostra con l’oro le fratture di un oggetto, rendendo la ferita parte del suo valore.

Il Drago: una metafora potente

Emblema centrale del percorso è stata la figura del Drago: creatura potente e temuta, metafora del trauma. All’inizio rinchiuso in gabbia, è stato progressivamente liberato e affrontato, in un processo simbolico di riconoscimento dell’ombra. Attraverso il racconto, il Drago non è più nemico da combattere, ma parte di sé da integrare e trasformare.

Momenti pubblici conclusivi

A concludere il percorso, durato circa un anno, due significativi momenti pubblici: la presentazione del progetto, curata da Marina Allegri, nel contesto del XXIV Congresso Nazionale S.I.R.N. (“Nutrire il cervello, curare il pianeta”, Parma, 10–12 aprile), e la mostra fotografica, ospitata presso il Teatro al Parco (PR), firmata da Marco Gualazzini, fotografo di fama internazionale, che ha saputo interpretare la profondità del percorso attraverso immagini di grande forza evocativa. Le fotografie, ispirate ai principi della neuroestetica, attivano memorie profonde e risonanze archetipiche, entrando in dialogo con l’inconscio collettivo teorizzato da Jung. L’intento è quello di rendere visibile l’invisibile: le emozioni, i passaggi intimi, la dignità della vulnerabilità.

Conclusione

“Raccontarsi” ha così dato vita a una comunità autentica, dove chi cura è stato finalmente ascoltato, riconosciuto, sostenuto. Ogni parola, ogni silenzio, ogni gesto ha avuto valore. La narrazione non ha solo aiutato a ricordare, ma a ricostruire: sé stessi, le relazioni, il senso delle proprie azioni.

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